Paris,  4 octobre 2013

 

Cambiare, per andare dove?

Dall’autonomia a un’etica di comunione

 

Livio Melina

 

 

Se c’è un tratto tipico dei tempi che viviamo, questo sembra essere il continuo cambiamento. I valori della nostra epoca, definita non a caso “modernità liquida”, sono la velocità, il flusso continuo, la precarietà. Essa non può tollerare ciò che ha l’apparenza di stabilità, di continuità, di fedeltà: la famiglia, la classe sociale, la comunità parrocchiale: deve “liquefarli” o “liquidarli”. Il modello delle relazioni è quello delle connessioni in “rete”, in cui si può con pari facilità entrare ed uscire. Le connessioni sono relazioni virtuali, in cui è sempre possibile premere il pulsante “cancella”[1]. Così Zygmunt Bauman parla di “amore liquido”, come di un fatto commerciale, da ipermercato: diventa normale adeguare i rapporti di coppia ai rapporti commerciali, con il partner considerato alla stregua di un bene, cui ho diritto, che prendo o getto via quando mi sono stancato, perché all’orizzonte si profila un “prodotto” che promette di gratificarmi di più. La modernità liquida è dominata dalle voglie che contrastano con i desideri coltivati, principio di stabilità. Così, «il matrimonio vecchio stile “finché morte non ci separi”, già emarginato dalla coabitazione temporanea del tipo “vediamo se funziona”, è sostituito da un modello flessibile, part-time di “stare insieme finché dura”»[2].

 

1.      L’agonia dell’eros nella società del cambiamento infelice

 

E tuttavia, come ammonisce il titolo di un saggio della sociologa israeliana Eva Illouz, “l’amore continua a far soffrire”[3]: infatti anche questo cambiamento continuo, con la possibilità quasi infinita di scelta tra partner diversi, creata dall’erosione della morale dopo il sessantotto e dall’opportunità di diventare “amici” con centinaia di persone dell’altro sesso su Internet, non ha generato liberazione, ma piuttosto l’angoscia di non aver compiuto la scelta perfetta, soprattutto tra le donne. Il cambiamento in cui siamo immersi non è dunque un cambiamento felice: anzi è la figura di quel cambiamento infelice, in cui il desiderio non incontra mai il suo oggetto e finisce per spegnersi.

 

Così mentre la sociologia arriva a intravedere questa agonia dell’eros, è la filosofia che ne coglie la radice. E’ interessante, a questo proposito, il piccolo saggio, appena pubblicato in Italia, di un pensatore di origine coreana, Byung-Chul Han, professore in Germania a Berlino[4]. Egli  vede bene che la crisi dell’amore non è prodotta solo dall’offerta eccessiva di altri, ma piuttosto e soprattutto dalla scomparsa dell’Altro. La riduzione consumistica subita dall’amore nella nostra società implica il suo addomesticamento. La sessualità è concepita in termini di ottimizzazione delle prestazioni e di consumo soddisfacente, che sono propri del soggetto narcisistico, incapace di uscire dalla palude della sua depressione verso un incontro reale con l’altro. E’ quello che il giovane filosofo coreano chiama: l’”inferno dell’Uguale”, in cui nessun cambiamento è possibile, perché niente di nuovo può veramente accadere. Di un amore senza trascendenza e senza trasgressione, il modello è la pornografia, che cancella totalmente il carattere di evento e di incontro con l’altro proprio dell’eros. Commentando il best seller di E.L. James, Cinquanta sfumature di grigio, e la logica consumistica e contrattualistica che rappresenta, Han afferma che le vie dell’assoluta libertà sessuale portano oggi sempre più in palestra e dal dietologo; il principio della prestazione culmina nell’imperativo della salute.

 

Perché ho voluto cominciare questo mio breve intervento con queste osservazioni? Per due motivi. Il primo è che, se il tema della nostra riflessione è il cambiamento, sono convinto che la via del vero cambiamento sia nella direzione esattamente opposta a quella che, seguendo la strada del cattivo infinito, ha portato all’attuale agonia dell’eros: nella direzione cioè, oggi così trasgressiva, della fedeltà che conduce a trascendersi nell’amore. Il secondo motivo è che penso che la questione della contraccezione, la quale è stata il punto di svolta nella rivoluzione sessuale degli anni sessanta dello scorso secolo, sia anche oggi centrale nella lotta per l’autenticità di un amore che ritorni ad essere incontro con l’Altro[5]. E dunque la nostra non è una battaglia di retroguardia, ormai ampiamente persa.

 

2.      La conversione per ospitare una vita più grande

 

Colpisce che l’analisi di Han porti in fondo ad identificare la malattia più grave dei nostri giorni con lo stesso termine che anche papa Francesco va utilizzando per denunciare il rischio di implosione di tante strutture ecclesiastiche, l’”autoreferenzialità”: siamo talmente impegnati a parlare di noi stessi che abbiamo perso la capacità di stabilire relazioni autentiche con gli altri. Han è molto radicale, quando denuncia l’incapacità di incontrare l’Altro, di lasciarsi toccare e interpellare dall’altro. Ebbene, il vero cambiamento nasce proprio da qui, dal lasciarsi toccare da qualcosa o qualcuno che incontro, che accade nella vita e che porta qualcosa di nuovo, di inedito, di sorprendente e non previsto. Il cambiamento nasce dalla disponibilità ad un evento che introduce nella vita la promessa di una vita più grande, cioè la promessa di una vita di comunione.

 

Ecco allora un primo dato da acquisire. Il cambiamento autentico nella vita non è un nostro progetto, studiato a tavolino, non è uno sforzo della nostra volontà, che programma e organizza la realtà per poter giungere con efficacia ai risultati voluti. Questo schema, che connette in maniera tecnica i mezzi disponibili ai fini desiderati (Zweckmäßigkeit, razionalizzazione), è il modello interpretativo adeguato non dell’”agire” umano (πράξις), ma piuttosto del “fare” (ποιήσις), che mira a produrre oggetti esteriori, cambiamenti visibili nello stato esteriore delle cose[6].

 

L’agire, che attraverso le scelte liberamente attuate, cambia non solo la realtà esteriore, ma anche e prima di tutto il soggetto stesso dell’azione, ha sempre un carattere responsoriale: è risposta personale ad un impulso che proviene dalla realtà, soprattutto dalla realtà personale dell’Altro, il quale con la sua presenza mi invita ad un incontro, ad un cammino comune e forse ad una comunione. Ogni azione autentica nasce da una passione. San Tommaso d’Aquino coglieva qui il mistero dell’agire dell’essere creato, nel suo intreccio di grazia e libertà, mistero che è “consensus[7]: consentire ad un dono previo dato per grazia. E così l’azione umana trova la sua ermeneutica più chiara nel fiat con cui la Beata Vergine Maria aderisce all’annuncio dell’angelo, ospita lo Spirito e diviene madre del Figlio di Dio.

 

L’azione introduce novità nella vita nella misura in cui è risposta accogliente, che si apre ad ospitare l’Altro, più grande di sé, generando insieme con l’Altro nuova vita. Ospitare l’Altro apre al futuro di una storia, che non è predeterminabile in un progetto, ma che nell’incontro si annuncia come una promessa, da attendere e da far maturare. Con questa struttura responsoriale dell’agire umano, concorda pienamente la natura dell’amore. Ricordava papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione decisiva»[8].

 

Tutto questo, che vale per ogni umano agire, ha la sua realizzazione suprema e paradigmatica proprio nell’incontro di amore tra l’uomo e la donna e, ancor più specificamente, nell’atto di donazione sessuale, in cui i due diventano una cosa sola, e, in questa loro unità di corpo e di anima, si aprono alla possibilità di generare un nuovo essere umano. Per questo il tema della contraccezione, che interviene all’interno dell’atto sessuale manipolandone i significati, non è una piccola questione di etica sessuale, che si potrebbe trascurare, per evitare di risultare fastidiosi e inopportuni moralisti. E’ invece una questione profeticamente decisiva, come intuirono papa Paolo VI e Giovanni Paolo II, perché essa coglie un fattore cruciale della verità dell’amore nella nostra cultura. Una tale questione, potremmo esprimerla così: si può chiudere la sessualità nel narcisismo dell’autoreferenzialità, e quindi privatizzarla, oppure la lotta per l’autenticità dell’umano è lotta aprirla ad essere esperienza di ospitalità dell’Altro, alla generosità della trasmissione della vita, di generazione in generazione?  Il grande magistero di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo e quello di Benedetto XVI sulla teologia dell’amore ci hanno insegnato a vedere i temi della sessualità umana e dell’apertura alla vita in un orizzonte ben più ampio di quello di un legalismo casuistico. Il tema della vocazione all’amore, della generatività, della trasmissione della vita, non sono piccole questioni da rigidi moralisti: sono questioni centrali per il destino delle persone, per il futuro della umanità e della Chiesa. Per questo l’insegnamento di Humanae vitae è carico di profezia ed urge ad un cambiamento, che non può essere dato per scontato. Il cambiamento è quello che va dall’autonomia all’etica della comunione, dalla palude dell’autoreferenzialità alla generosità dell’accoglienza e di un dono, dall’inferno dell’Uguale all’apertura all’Altro.

 

Potremmo dire che la contraccezione, proprio per la sua intenzionalità manipolativa dell’atto sessuale coniugale, di cui pretende di accettare il valore unitivo, rifiutando però nel contempo quello procreativo, rappresenta di fatto il prototipo di un agire in cui  l’altro non è accolto nella sua verità completa, ma viene “addomesticato” e ricondotto a ciò che si vuole che sia: l’uguale. La corporeità, in cui si realizza l’atto di amore sessuale, è il luogo dove l’incontro tra le persone avviene davvero solo quando ci si apre ad ospitare la verità integrale dell’altro, che non ci appartiene mai del tutto, che è sempre dono e sorpresa, che è “altro” proprio nella sua qualità di dono e nella sua possibilità di essere fecondo tramite del dono stesso della vita.

 

3.      Le condizioni per un cambiamento

 

L’iniziativa di introdurre un cambiamento nella nostra esistenza nasce sempre dall’incontro con una vita più grande e bella, che si vuole fare propria. Nel nostro caso essa può scaturire dall’intuizione, destata da testimonianze e da esperienze, che la sessualità coniugale tra uomo e donna è molto di più della ricerca di una soddisfazione individuale, in una pratica abitudinaria. Essa è avventura di un incontro, chiamato ad ospitare sempre più l’altro, per una comunione di vita aperta ad una fecondità ulteriore. Ma tale avventura, per farsi cammino reale, ha bisogno anche di alcune condizioni. Mi permetto di richiamarne tre, che qualificano, sul piano fondamentale, la pratica dei metodi naturali di regolazione della fertilità nella vita coniugale.

 

a) Riconoscersi dono per potersi donare

 

La prima condizione è non perdere mai la meraviglia nell’incontro con l’altro. E questo può accadere solo se non si perde la prospettiva del dono che l’altro è per me, del dono che io sono per l’altro, ma del dono che anch’io sono per me stesso. Per potersi donare veramente, occorre riconoscere prima di tutto che si è dono. Il dono mi precede, precede la mia libertà, la mia iniziativa. E le dà senso. Per questo si può ospitare l’altro e donarsi all’altro solo nell’orizzonte dell’Altro, con la “A” maiuscula, nell’orizzonte del Dono originario, che configura il corpo, che ne orienta le dinamiche, che predispone gli incontri delle persone. E’ all’interno di questo atteggiamento basilare che trovano il loro posto e la loro giustificazione le ricerche per una sempre più adeguata conoscenza dei ritmi e delle condizioni della fertilità femminile, da far progredire sia nella semplicità degli indicatori, sia nella precisione dell’esito diagnostico.

 

Si tratterà innanzitutto di accogliere l’Altro in me: di riconoscere con gratitudine il dono che io sono a me stesso, che la mia corporeità è per me stesso, con i suoi dinamismi, con le sue possibilità, con i suoi ritmi, con i suoi limiti. Si tratterà poi di accogliere anche l’Altro nell’altro, imparando ad ascoltare come una parola non casuale la realtà del corpo altrui, con la sua fisiologia e le sue stagioni, con gli eventi più o meno fastidiosi che costellano una vicenda umana. Si tratterà quindi anche di accogliere l’Altro nella storia comune, fatta di momenti di grazia, ma anche di imprevisti, di opportunità e di limitazioni e di costrizioni, forse anche di indisposizioni e di malattie. Solo se si accoglie tutto nell’orizzonte del dono originario e del Donatore, si può trovare la luce e l’energia sufficienti per poter fare anche di sé, della propria vita sessuale un dono generoso, aperto alla trasmissione del dono ricevuto.

 

b) Ascoltarsi e dialogare

 

Ad un secondo livello, la possibilità di un cambiamento reale della sessualità coniugale esige una capacità profonda di ascolto, di dialogo e di comprensione nella coppia. Una delle obiezioni più frequenti alla continenza periodica è basata sul suo carattere esigente: per praticarla efficacemente è necessario non solo acquisire una conoscenza adeguata della corporeità e dei suoi ritmi di fecondità, ma anche e soprattutto un autocontrollo delle pulsioni istintive ed emotive della sessualità umana, nonché un dialogo continuo e profondo della coppia.

 

Non bisogna nascondersi o sminuire questa esigenza peculiare dei metodi naturali, documentata dall’esperienza di tanti coniugi : praticarli comporta pazienza e ascesi nel superare le difficoltà. Lo indicava bene Paolo VI: «Questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all’amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali : essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi ; favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri»[9].

 

Così quella che, di primo acchito, si presentava come un’obiezione può essere capovolta in un elemento di apprezzamento positivo. Il valore della regolazione naturale della fertilità consiste precisamente nell’offrire solo uno strumento conoscitivo, che non sostituisce ciò che è proprio della persona. Non supplendo con espedienti tecnici l’agire personale, essa esige la maturazione delle virtù, promuove la responsabilità e provoca la crescita delle persone nella loro vocazione all’amore. Proprio nel loro limite e nel loro presupporre e stimolare una maturazione personale, i cosiddetti “metodi naturali” assumono un indiretto valore morale. Non manipolano artificialmente i significati dell’atto coniugale, ma ne rispettano il valore personalistico. Esigendo e incoraggiando la formazione di necessarie disposizioni personali, si pongono con umiltà al servizio dell’amore.

c) Possedersi per donarsi

 

Approfondiamo ora un terzo livello, già emerso peraltro nella precedente riflessione. In una delle sue Catechesi sull’amore umano, Giovanni Paolo II lo aveva affermato: «la conoscenza stessa dei ‘ritmi di fecondità’ non crea ancora quella libertà interiore del dono, che è di natura esplicitamente spirituale e dipende dalla maturità dell’uomo interiore. Questa libertà suppone una capacità tale di dirigere le reazioni sensuali ed emotive, da rendere possibile la donazione di sé all’altro ‘io’ in base al possesso maturo del proprio ‘io’ nella sua soggettività corporea ed emotiva»[10]. In altre parole, una regolazione naturale della fertilità difficilmente può realizzarsi senza la virtù della castità coniugale[11]. Come ogni virtù, anche la castità nasce dall’amore ed è tesa all’amore. Essa forma le disposizioni interiori soggettive affinché le pulsioni istintuali ed emotive non siano forze disgregatrici, che ostacolano la donazione dei coniugi, ma piuttosto si integrino in riferimento alla persona dell’altro e al suo valore eminente.

 

Nel contesto della castità coniugale, possiamo apprezzare meglio il valore della continenza periodica, che la regolazione naturale della fertilità esige per poter essere praticata. Essa, trattenendo dall’immediata soddisfazione sessuale, può aiutare a far emergere il valore dell’altro come persona. La pratica della continenza periodica esige dialogo, ascolto e attesa dell’altro, che non è sempre e comunque disponibile all’abbraccio. Proprio in questo favorisce un’attenzione nuova al carattere personalistico dell’atto sessuale, elevando la qualità complessiva della relazione. Mediante la pratica dell’astinenza, la castità coniugale orienta lo sguardo a ciò che è essenziale nel rapporto e, nello stesso tempo, allarga l’orizzonte dell’amore. Non nega il valore della sessualità genitale, ma la riconduce al suo significato di dono espressivo dell’amore personale, unico e fecondo.  Pur valorizzando la preziosità dell’atto coniugale non lo idolatra, né lo considera il solo gesto di amore interpersonale: invita invece a scoprire creativamente gesti di tenerezza e di attenzione, dove la gratuità dell’incontro personale si manifesti nuovamente.

 

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La pratica della regolazione naturale della fertilità implica certamente un cambiamento molto forte di atteggiamento nei confronti della sessualità, del proprio corpo, ma soprattutto nei confronti dell’altro, ultimamente anche nei confronti di Dio. E’ un cambiamento molto più radicale di quanto superficialmente si pensi, al punto che essa appare davvero come una pratica sovversiva. E infatti, in una società, dove il capitalismo ha ridotto la sessualità ad un bene di consumo eliminando l’alterità e costringendo a vivere nella prigione dell’Uguale, essa è profezia di una pratica erotica aperta all’incontro con l’altro e alla forza trascendente e trasfigurante dell’eros.

 



[1] Cfr. Z. Bauman, Amore liquido, Laterza, Bari 2004, XI-XII.

[2] Ibidem, 51.

[3] Cfr. E. Illouz, Perché l’amore fa soffrire, Il Mulino, Bologna 2013.

[4] Cfr. Byung-Chul Han, Eros in agonia, Nottetempo, Roma 2013.

[5] In merito, su posizioni diametralmente opposte: P. Simon, De la vie avant toute chose, Mazarine,  Paris 1979; M. Eberstadt, Adam and Eve After the Pill. Paradoxes of the Sexual Revolution, Ignatius Press, San Francisco, CA, 2012.

 

[6] Cfr. R. Bubner, Handlung, Sprache und Vernunft. Grundbegriffe praktischer Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1982.

[7] Cfr. Summa Theologiae, I-II, q. 9, a. 4, ad Ium; I-II, q. 111, a. 2, ad 2um.

[8] Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, n. 1.

[9] Paolo VI, Enc. Humanae vitae, n. 21

[10] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città nuova, Roma 1985, CXXX, 488.

[11] Cfr. Gaudium et spes, n. 49.